Non c'è riforma dello sport senza sburocratizzazione
Che entri in vigore fra pochi giorni o fra qualche mese, cambia poco. La riforma dello sport ormai ha tratteggiato le sue caratteristiche principali e come ogni normativa che si guardi in controluce senza pregiudizio, si può certamente affermare che presenta aspetti positivi, lati negativi, e numerose incognite.
Fra i punti di forza di questa norma, il contributo alla chiarezza e alla uscita da quel limbo fiscale, giuridico e amministrativo in cui siamo stati per tanti anni, quel limbo nel quale la mancanza di certezze ha creato ingiustizie, sperequazioni, interpretazioni e personalisimi togliendo equità. Il prezzo per questo status più chiaro però - anche per il combinato disposto (espressione terrificante!) dell'entrata in vigore della riforma del terzo settore con l'avvio del RUNTS e corollari vari - è un ulteriore aggravio dei costi in tempo e denaro necessari per gli adempimenti burocratici: comunicazioni ministeriali, iscrizioni a registri, bilanci di missione.
Tutto bello e tutto giusto, a fronte del vantaggio di un rapporto privilegiato con la pubblica amministrazione ancora tutto da costruire e i cui privilegi discendenti sono ancora tutti da dimostrare, l'appesantimento burocratico però arriva subito, a partire dall'esplosione degli adempimenti giuslavoristici: assunzioni, inps, contributi, irpef... costi in denaro ma non solo.
Noi non vogliamo una riforma in cui le risorse in più per lo sport vengono spese in parcelle di commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro. Vogliamo una riforma che liberi le ali di chi vuole "educare i giovani attraverso lo sport". E per poterlo fare, sarà necessario che "riforma dello sport" faccia rima con "sburocratizzazione".